Emilia Romagna locomotiva della moderna nocicoltura

I produttori di noci dell’Emilia-Romagna si sono dati appuntamento a Forlì per la 17°esima edizione della Giornata della noce. In Emilia Romagna il 30% degli impianti intensivi d’Italia. Confagricoltura E-R: “Ci sono le condizioni per fare crescere filiere della frutta a guscio e ridurre la dipendenza dalle importazioni».

Nell’ultimo ventennio il consumo annuo di noci in Italia è passato da 26.000 a 63.000 tonnellate (di cui 49.000 importate), quello di nocciole da 108.000 a 187.000 tonnellate (di cui 70.000 importate). Agricoltori, imprenditori dell’agribusiness e player dell’agroindustria guardano adesso all’Emilia-Romagna per la messa a dimora di nuovi impianti. Fa il punto Alessandro Annibali, presidente della sezione frutta a guscio di Confagricoltura Emilia Romagna e Ad di New Factor – capofila insieme alla cooperativa Agrintesa del progetto In-Noce – nel suo intervento alla 17° Giornata della noce presso l’azienda agricola San Martino di Forlì, dove tutto è partito più di 20 anni fa e dove si sono dati appuntamento i produttori della filiera arrivati da varie province: «L’Emilia-Romagna è locomotiva della nocicoltura moderna, irrigua e meccanizzata, con il 30% degli impianti intensivi d’Italia e una produzione di qualità – varietà Chandler e Lara –, in parte destinata alla preparazione di snack e barrette nutrizionali 100% made in Italy». Il progetto In-Noce, per lo sviluppo della Noce di Romagna, coinvolge oltre una ventina di aziende agricole, con più di 500 ettari coltivati nel bacino di produzione che va da Rimini, Forlì-Cesena e Ravenna fino a Bologna e Ferrara. È un esempio ben riuscito di investimento pubblico-privato, che ha potuto contare sulle risorse del PSR regionale.

«L’Emilia-Romagna sarà anche terra di noci, nocciole e arachidi: ha un potenziale ancora tutto da sfruttare per soddisfare la domanda interna di frutta a guscio ma anche quella di frutta disidratata, offrendo nuovi sbocchi a eccellenze locali quali albicocche, pesche e susine – e aggiunge Annibali – ci sono le condizioni per fare crescere filiere redditizie e di qualità, in grado di ridurre la dipendenza del nostro Paese dalle importazioni. Aggregare gli agricoltori, creare sinergie tra imprese agricole e cooperative, è il nostro obiettivo; daremo agli imprenditori un manuale di buone pratiche agronomiche per guidarli nella nuova avventura, mettendo a disposizione le competenze e la forza commerciale di New Factor».

La regione ha visto nascere anche la filiera della noce biologica (in commercio dall’anno scorso), grazie a un progetto del Consorzio noci bio del Delta del Po e della Op La Diamantina, circa 170 ettari coltivati nel Ferrarese e nel Ravennate, con risorse del PSR investite in nuovi impianti, macchinari e ricerca. In collaborazione con il CRPV, è stato infatti avviato uno studio sperimentale per migliorare la difesa fitosanitaria del noce coltivato con metodo biologico. «Un lavoro utile ai produttori di noci bio e non, alla luce della direttiva Ue che a gennaio del 2022 farà scattare il divieto assoluto di utilizzo del fitofarmaco più efficace contro le malattie fungine: il mancozeb. Da questo progetto potrebbe addirittura arrivare la soluzione alternativa che stiamo cercando», conclude il presidente dei produttori di frutta a guscio di Confagricoltura Emilia Romagna.

È soddisfatto Marcello Bonvicini, presidente di Confagricoltura Emilia Romagna: «Prendo atto del risultato raggiunto dalle due principali filiere della noce in Emilia-Romagna: la noce di Romagna e quella bio del Consorzio Delta del Po. Qualità, distintività e filiere ben organizzate – dice intervenendo all’assise degli agricoltori – sono la chiave di svolta della frutticoltura del futuro, la strada da perseguire per ridare redditività a molte colture del territorio».

La sezione regionale di Confagricoltura dedicata al comparto frutta a guscio lavorerà nei prossimi mesi alla definizione del “catasto dei noceti”, una sorta di mappatura degli impianti presenti sul territorio (mai fatta in Italia che potrà quindi servire come modello per altre regioni), e alla modifica del disciplinare che limita l’uso del rame contro la batteriosi del noce a 4 chili per ogni pianta (lo stesso quantitativo richiesto per una vite che è di dimensioni notevolmente più ridotte), oltre a condividere una fitta rete di strategie con i produttori del Veneto.